I suoi “attori” sono: territorio, patrimonio e comunità. Beni materiali ed immateriali. Conservazione, tutela, valorizzazione e sviluppo-turismo sostenibile le finalità.
Legata all’abbondante presenza di acqua, la coltivazione del riso, a noi giunta attraverso gli Arabi dall’Andalusia, fu esercitata, già alla fine del Quattrocento, nelle terre bagnate dal Po e dai suoi affluenti, in forma stabile, soprattutto nelle zone acquitrinose e paludose, che erano ancora da bonificare. Successivamente, a partire dal XVIII secolo, prese a concentrarsi e a specializzarsi, come coltura a vicenda (a rotazione), in determinate aree della Padana irrigua (tra le quali la Sinistra Mincio), ove assunse un’importanza economica preponderante, il che determinò, di conseguenza, anche l’avvio di rilevanti trasformazioni di lunga durata sul piano socio-culturale.
Nella fase del suo consolidamento, la coltura del riso, decisamente orientata al mercato, richiese la disponibilità di ampie estensioni di terreno agricolo da valorizzare con accurati lavori di canalizzazione e regimentazione delle acque, per l’effettuazione dei quali occorrevano cospicui capitali ed affinate cognizioni tecniche. Tutto ciò favorì lo sviluppo in loco di un ceto di fittavoli imprenditori coadiuvati da uno stuolo di ingegneri idraulici e di esperti pratici (“campari”) delle acque.
Per la cura del riso si fece inoltre ampio ricorso a manodopera stagionale, in prevalenza femminile, alla quale veniva corrisposto un salario di gran lunga inferiore a quello degli uomini. L’effetto, inatteso, che ne derivò fu del tutto dirompente: per la prima volta nella storia d’Italia, una moltitudine di donne-lavoratrici (le mondariso) prese infatti a emanciparsi, uscendo dall’orbita ristretta della famiglia patriarcale contadina, allargando i propri orizzonti mentali e iniziando a sperimentare nuove forme di sociabilità collettiva. La risaia contribuì dunque a modificare radicalmente le prospettive di vita delle proprie addette e a riplasmarne persino certi valori etici e convinzioni personali. Fattori che tuttora persistono, in modo profondo, nella realtà quotidiana e nella cultura immateriale degli abitanti di queste terre tra Mincio e Po.
Il fiume è di un paesaggio una delle peculiarità più forti, una delle anime più caratterizzanti. È ambiente materiale e immateriale: fisico e materiale nei suoi elementi peculiari (tanto costitutivi - terra e acqua - quanto vivificanti - flora, fauna, presenza umana) e immateriale nelle manifestazioni culturali legate alle attività che su di esso, o accanto ad esso, si svolgono.
È patrimonio naturale ed antropico capace di generare, direttamente o indirettamente, altri paesaggi ad esso strettamente correlati. Fiume è il Mincio, emissario del Garda, primaria arteria irrigua della pianura orientale mantovana, da almeno nove secoli regimato dall’uomo; fiume è il Po che ne accoglie le acque per condurle al mare.
Zona o territorio, quale viene percepito dagli abitanti del luogo o dai visitatori, la cui fisionomia è determinata da caratteristiche fisiche, biologiche, antropiche e cioè da peculiarità naturali e culturali. La lettura del paesaggio avviene a più livelli ed è strettamente legata alle modalità con cui esso è stato ed è costruito, ma anche a quelle con cui è vissuto e percepito dal fruitore o dal semplice osservatore.
Attraverso a mediatori socio-culturali (come il senso di identità) esso è perfettamente riconoscibile come prodotto sociale (e cioè bene dinamico e non statico), come bene culturale a carattere identitario, realtà materiale e immateriale, ossia in quest’ultima accezione, come sua apparenza e manifestazione.