La corte di Pellaloco, che nel 1544 apparteneva ai Gonzaga della linea dominante, nel 1560 era proprietà di Alessandro Gonzaga, fratello del Duca Guglielmo; nel 1636 tale corte, della superficie di biolche mantovane 1086. Allora proprietà Locatelli, fu venduta al Marchese Francesco Spolverini del Verme, nobile veronese; da questi passò al figlio Giacomo e quindi al nipote Giorgio; questi, nel 1708, subentrò al Marchese Vincenzo Maria Carbonelli nel diritto di giuspatronato sulla chiesa di Pellaloco. Lo stemma degli Spolverini, uno scudo bianco con sopra due fasce tinte di azzurro, campeggia ancora sulle chiavi di volta degli archi che delimitano l’ingresso a torre della corte di Pellaloco.
La corte Costa Vecchia, tipico esempio di azienda risicola del periodo gonzaghesco, è nel Seicento proprietà della nobile famiglia Nerli che la tenne per almeno due secoli. Nel 1835 risulta proprietà del duca Visconti di Modrone mentre nel Novecento passò più volte di mano. Il termine “Costa” è usato nel significato di spalto, riva, e fa riferimento ad un costruito che sorge sulle sponde di un canale: l’Allegrezza, che scorre alle spalle del complesso. Con l’ampia aia definita su due lati da un fossato, la corte si presenta composta da più fabbricati disposti ad L. La parte più antica, del secolo XV, è caratterizzata da una massiccia torre colombaia con orologio centrale e da un corpo di fabbrica destinato ad abitazione.
Il palazzo padronale è realizzato tra il XVIII e il XIX secolo, ed è fiancheggiato simmetricamente da due volumi porticati con funzione di granaio. Le due barchesse, scandite da lesene tuscaniche, presentano archeggiature in parte traforate a griglia e sono caratterizzate dalle basse finestre del sottotetto dove era depositato il risone. Nella seconda metà dell’Ottocento si costruiscono le stalle, integrando così la funzione risicola della struttura, e le abitazioni dei salariati del lato ovest. Un oratorio dalle linee essenziali, con campanile a vela, è posto in fregio all’ingresso del complesso.
Villagrossa, è nominata per la prima volta nel 1302 come una delle ville del feudo di Castel d’Ario. La chiesa, eretta con decreto datato 3 agosto 1544 per volontà del Cardinale Ercole Gonzaga, Vescovo di Mantova, è consacrata nel 1579. Esternamente l’edificio presenta una serie di elementi aggiunti nel 1935 secondo il disegno dell’ingegnere Ugo Morselli. Si tratta del sopralzo della facciata con l’edicola neogotica e i due pinnacoli; delle finestre ogivali; dell’arco acuto dell’ingresso; e della cella campanaria. All’interno nella cappella di destra una tela dei primi del Seicento raffigura l’adorazione della Croce con i santi Biagio (il vescovo con ai piedi un angelo che sostiene il pettine per la lana, strumento per il suo martirio); Francesco con la croce; Antonio da Padova con il giglio; Giuseppe con il bastone fiorito; e le Sante Caterina d’Alessandria e Teresa d’Avila. Sulla sinistra del dipinto si trova l’immagine del Venerabile Francesco Gonzaga con il pastorale.
Villa Zani, separata dal castello medioevale dal corso del Tione Vecchio, è entrata nella storiografia artistica come opera di Giulio Romano. Studi recenti hanno dimostrato che si tratta invece di una creazione dell’architetto Bernardino Facciotto, attivo presso la corte di Mantova tra il 1580 e il 1590. La villa non è documentata prima dell’anno 1584, inciso sull’intonaco del solaio assieme a tre iscrizioni latine di carattere religioso destinate a commemorare il completamento dell’edificio. A Villimpenta una corte, non una villa, è presente dal 1528 quando il proprietario è Antonio Gonzaga de Torniellis, un lontano parente di Federico Gonzaga.
Nel 1542 la struttura è della famiglia Visconti e nel 1561 diventa proprietà del genovese Antonio Da Passano che la vende al duca Guglielmo Gonzaga nel 1587-1588. Quando il complesso passa dal Da Passano al duca Guglielmo esistono due abitazioni: un palazzo corrispondente all’attuale villa e una casa della corte vecchia probabilmente riferibile alla costruzione nominata nel 1528. Il committente della villa è dunque Antonio Da Passano che la vende a Guglielmo Gonzaga in cambio di un titolo nobiliare. Sembra quindi probabile che egli edifichi la magnifica villa di Villimpenta per farne un oggetto di scambio, anziché per abitarla. Nel 1610 il complesso è venduto da Vincenzo Gonzaga al casato degli Emigli. Nel 1839 la villa è ceduta ai Giovannelli, nel 1924 passa agli Zani e quindi ad altri due proprietari.
L’attuale pertinenza del complesso è costituita dalla villa, di circa 3.000 metri quadrati, e da due edifici accessori composti dalle ex scuderie e dai caseggiati d’abitazione su via Virgiliana. Il giardino occupa uno spazio di circa 19.000 metri quadrati. Un disegno di Doriciglio Moscatelli del 1688 e un rilievo della villa realizzato dall’architetto Luigi Trezza nel 1774 ci permettono di ricostruire l’assetto della costruzione originale. A differenza delle ville mantovane dei primi decenni del ‘500, villa Zani si presenta come un edificio isolato e compatto. Il piano nobile è elevato su un basamento con una scalinata a tre rampe. La fascia centrale della villa è occupata da un salone a doppia altezza, prolungato da una coppia di logge biabsidate. Ai lati sono quattro appartamenti ognuno con una saletta, una camera e un mezzanino raggiungibile mediante un’autonoma scala a lumaca posta a ridosso del loggiato d’ingresso. L’impostazione degli ambienti fa sì che il volume del salone emerga dal centro della copertura. Le superfici esterne sono rivestite di opera rustica e presentano un ordine dorico, con triglifi e metope nel fregio del cornicione: tutte reminiscenze di Palazzo Te.
In corrispondenza delle logge, le superfici sono risolte mediante l’inserimento di tre bucature composte a serliana. All’apice dell’arco centrale della facciata principale si trova il cartiglio di uno stemma gentilizio. Quattro pinnacoli a gradini, su podio parallelepipedo e sfera sommitale, segnano i vertici dell’edificio. Bernardino Facciotto nasce prima della metà del ‘500, a Casale Monferrato, feudo dei Paleologo, passato a far parte ufficialmente, dal 1559, dei domini gonzagheschi. Ha avuto come maestro Francesco Paciotto, ingegnere e architetto al suo tempo di fama europea, che gli impartisce autorevoli insegnamenti sia nell’ambito dell’ingegneria militare, sia in materia di architettura civile e religiosa. Oltre l’esperienza diretta, dal Paciotto Bernardino deriva l’inclinazione all’essenzialità e al rigore. Acquisisce poi uno spirito critico nei confronti dell’enfasi retorica e monumentale.
Sotto la guida del precettore apprende inoltre l’arte del disegno che nelle sue testimonianze grafiche si esprime attraverso linee sottili e accurate e l’uso dell’acquerello di colore beige. Facciotto nel 1576 è al servizio di Guglielmo Gonzaga nel Monferrato. Nel 1580 arriva a Mantova dove progetta, in occasione delle nozze di Vincenzo Gonzaga con Margherita Farnese, il cortile delle Otto Facce con la contigua scala triangolare e l’esedra, ora distrutta, tra il Palazzo Ducale e il Duomo. Sistema anche gli edifici dell’attuale piazza Castello. Oltre ad intervenire sulle residenze gonzaghesche di Gazzuolo, Goito e Cavriana, progetta la ristrutturazione della parrocchiale di Castel Goffredo. Facciotto ritorna a Casale Monferrato nel 1590 in concomitanza con l’inizio dei lavori di costruzione della cittadella. Del Facciotto s’ignora la data di morte successiva comunque al maggio del 1597.
Il nome Garolda deriva dal latino medievale garolo: piccolo guado o corrosione dell’argine. La villa si compone di vari elementi oggi in parte separati dalla strada provinciale. Il corpo d’ingresso originale (l’attuale è realizzato pochi anni fa), è lontano dalla villa ed è isolato all’interno del recente sistema viabilistico. Accanto si trova una recinzione del 1841, opera di Giovan Battista Vergani. Il nucleo originale della villa riferibile al primo Cinquecento, è composto da un portico a tre archi, da un salone passante, da due sale con volta a padiglione al piano terra, e cassettoni al piano primo; la scala si trovava a sinistra. Sul lato nord-ovest un cortile con un lato porticato è realizzato alla fine del ‘500. Una uguale struttura si trovava fino al 1776 anche sulla parte opposta. La facciata principale di ordine tuscanico, ispirata al manierismo, è opera dell’architetto Paolo Pozzo ed è realizzata alla fine del Settecento. La decorazione interna presenta al piano nobile due fasce della scuola di Giulio Romano; mentre le decorazioni del portico, con il busto di Paolo Veronese, e del salone al piano terra, sono opere settecentesche di Paolo Pozzo.
Nel 1806 si realizzano le decorazioni delle stanze minori del piano terra, si realizza la scala che porta al piano nobile e la facciata verso la strada. Staccato dalla villa, sorge un oratorio edificato già nel 1678 per volontà del conte Amigoni della Garolda nei pressi della sua residenza. La struttura viene acquisita dai Cavriani nell’Ottocento. Lo spazio interno, con decorazioni in parte rococò e in parte tardogotiche, è suddiviso in due ambiti: l’aula e, alle spalle dell’altare, il confessorio, in origine sagrestia. Gli spazzi laterali sono stati aggregati in tempi recenti. L’ancona d’altare è concepita secondo gli stilemi tipici del tardobarocco: pilastri quadrati, ruotati a 45 gradi, e sagomati in senso prospettico sostengono due angeli dorati e un’edicola con cornice a valva di conchiglia, con al centro la colomba dello Spirito Santo. Al centro il dipinto è realizzato su tavola di legno e raffigura la Madonna con il Bambino, con angeli musici e putti nell’atto di offrire frutti. Due balconi simmetrici ai lati dell’altare sono per la partecipazione dei nobili, proprietari della struttura, alle funzioni religiose.
L’originaria chiesa di San Nicolò Po sorgeva a ridosso delle sponde del fiume: la distruzione del tempio causata da una piena del Po, ha determinato il trasferimento della sede parrocchiale all’interno dell’attuale edificio, in origine un semplice oratorio costruito tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. La pala dell’altare, raffigurante la Madonna con il Bambino, due angeli, e Santi Nicola di Bari e Andrea, è stata realizzata in due fasi successive. La parte alta, con la Vergine al centro, è opera settecentesca di Francesco Maria Raineri detto lo Schivenoglia (1676-1758); la parte bassa con i due santi e il paesaggio alle spalle, è eseguita, nel Seicento, dal pittore Francesco Borgani (1557-1624). A lato dell’altare, si trova una tela seicentesca di scuola emiliana, raffigurante Sant’Antonio da Padova benedetto da Gesù Bambino. Nella cappella di sinistra, oltre ai settecenteschi misteri del rosario, nell’ovale alla base della statua della Madonna, si trova un dipinto su tavola, raffigurante Sant’Eurosia martirizzata: l’opera è attribuita alla scuola di Giuseppe Bazzani (1690-1769).